Recensione del film “Guida perversa all’ideologia” di S. Fiennes
La società ci impone i suoi desideri, il film dimostra però che se mai avessimo l’opportunità di cambiare questo ne sentiremmo la dolorosa mancanza.
Articolo pubblicato nella rivista online State of Mind
Il presupposto è, ovviamente, che le ideologie non sono affatto morte, come qualcuno ripete meccanicamente da anni. Secondo il filosofo e psicanalista sloveno un esempio di ottima salute di cui gode il sistema ideologico è dato dalla faticosa lotta che Barack Obama ha dovuto combattere per attuare la riforma sanitaria: prova di una irriducibile ideologia dell’individualismo sregolato.
La società in cui viviamo, con i suoi emissari che prendono le forme di Marketing, Religione, Famiglia, Istituzioni organizzate, ci guida silenziosamente lungo il corso della nostra vita e ci impone quelli che sono i suoi gusti, costumi e desideri, fino al punto di non essere più in grado di comprendere se questi sono davvero nostri o se ci sono stati instillati.
Fin qui niente di nuovo, quasi banale. Ma non è la cosa più inquietante: Žižek dimostra (citando Hollywood, in particolare Carpenter – ‘Essi vivono’ – e Frankenheimer – ‘Operazione diabolica’) che, se mai avessimo l’opportunità di cambiare questo status di surrogato di noi stessi sentiremmo la dolorosa mancanza di ciò che siamo. Sentiremmo il bisogno di difendere tutte quelle piccole cose che ci fanno sentire al sicuro e che ci tengono per mano lungo il cammino della nostra vita. Come dice David Pollens, psicoanalista che lavora a New York:
Molti vengono a chiederci aiuto e subito dopo cercano di impedirci di aiutarli […]. Come fai ad aiutare una persona quando ti dice, in un modo o nell’altro, ‘Non aiutarmi’? La psicoanalisi è tutta qui.
Un secondo esempio di condizione ambivalente nella quale si trova a vivere l’Uomo la troviamo nel capitolo del film dedicato al concetto di godimento (jouissance, per dirla come Lacan). Žižek ha già affrontato il tema in ‘Leggere Lacan. Guida perversa al vivere contemporaneo‘ (Bollati Boringhieri, 2009).
‘Godi!‘ è l’ossessione imposta dalla società contemporanea. Il Super-Io, prima depositario del divieto di godere (Freud), diventa ora il tiranno che impone il divieto di non godere (Lacan), a tal punto che «non ci si sente più in colpa quando ci si abbandona a piaceri illeciti, come prima, ma quando non si è in grado di approfittarne, quando si arriva a non godere». La condizione dei pazienti sul lettino è cambiata nei decenni:
Un tempo, si contava sulla psicoanalisi affinché consentisse al paziente di superare gli ostacoli che gli impedivano l’accesso a una normale soddisfazione sessuale (…). Oggi il godimento funziona effettivamente come uno strano dovere etico: gli individui si sentono in colpa non tanto perché, nel darsi a piaceri illeciti, violano le proibizioni morali, quanto perché non sono capaci di godere.
Godimento è cosa diversa dal semplice piacere, nella contrapposizione dovere-piacere il godimento si soddisfa solo includendo entrambe le polarità: provando piacere e al contempo sofferenza per aver eluso il dovere.
In un passaggio del film Žižek nota che la Coca-Cola ha il potere di protrarre il desiderio. Il paradosso di questa bevanda è che se sei assetato desideri berla, ma più la bevi e più provi sete. E’ il desiderio del desiderio stesso, il desiderio di continuare a desiderare. Il prodotto menzionato è figlio di un’ideologia, quella consumista.
Per Kafka l’uomo moderno ritrova l’unico contatto col Divino nella Burocrazia. Quest’altra ideologia, attraverso l’onnipotenza delle proprie procedure insensate ma obbligatorie, è espressione del godimento divino. Il produrre il nulla sul nulla, la mancanza di scopo, è il modo attraverso cui l’impianto burocratico genera il godimento che si riproduce all’infinito.
Che cosa è il Grande Altro dunque? Secondo Lacan è l’elemento base della struttura ideologica. Da un lato è l’ordine segreto delle cose, agente che garantisce il significato di ciò che facciamo. Molto più interessante è l’altra funzione, quella di mantenere intatte le apparenze.
Un esempio struggente ci è dato dal film di David Lean, Breve incontro. Due amanti decidono di darsi appuntamento al bar di una stazione ferroviaria per un addio estremamente malinconico, non potendo più portare avanti la loro passionale relazione. Ad un tratto fa il suo ingresso un’amica di famiglia della donna, descritta come stupida e decisamente invadente, che si accomoda al tavolo. Questa fastidiosa presenza irrompe nella loro intensa intimità e li travolge con un fiume di chiacchiere insensate. Parla fino a quando sopraggiunge il treno che li separerà per sempre portando via l’uomo.
La sconosciuta svolge la funzione di Grande Altro, durante la sua presenza i due amanti decidono di fingere di essere solo conoscenti e salvare le apparenze, per non minare la stabilità che l’entità suprema garantisce. Ma in una scena successiva la tragedia si esplicita in tutto il suo straziante dilemma: la protagonista guarda la stupida signora mentre continua a parlare e pensa ‘come vorrei potermi fidare di te’, la sofferenza accumulata per la separazione dall’amante vuole venir fuori, la protagonista vorrebbe incidere la sua Verità nella mente del Grande Altro. Ecco ancora una contraddizione, il Grande Altro ci obbliga a fingere ma vorremmo anche confessargli le nostre verità.
Ritengo che questa sia anche la funzione dell’analista. Attraverso il processo di transfert il terapeuta rappresenta sia un ordine precostituito al quale il paziente si relaziona, fatto di un’immagine composta anche dalle proprie fantasie, e sia un testimone delle proprie sofferenze.
Žižek propone due stati psicoanalitici: la perversione e l’isterìa. Nel primo caso il soggetto ha la totale convinzione che i desideri del Grande Altro siano i propri, nel secondo caso c’è la messa in dubbio destabilizzante di questo principio. Questo è lo stato più creativo. C’è sempre in ognuno di noi almeno una traccia di isterìa.
Nel film di Scorsese ‘L’ultima tentazione di Cristo‘, l’esperienza tormentata di Gesù viene letta come un’esperienza di isterìa, drammatizzata come una lotta coi propri demoni interiori. Il processo, in questo caso spirituale ma potremmo ipotizzarlo come analitico, di Cristo si conclude con la morte (che sappiamo essere una Rinascita). Negli ultimi minuti della propria vita, Cristo pone la domanda al cielo ‘Eloì, Eloì, lama sabactàni?’ (Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?) e realizza: il Grande Altro non esiste.
Il filosofo giunge alla conclusione che il cristianesimo è più ateo dell’ateismo stesso. Nella religione cattolica il figlio di Dio raggiunge il punto più alto della propria consapevolezza prima di lasciare gli uomini da uomo, comprendendo che il padre non esiste. Nell’ateismo le persone possono dedicare intere vite a una o più ideologie, talvolta senza nemmeno averne contezza.
Siamo essenzialmente soli, ma attraverso la relazione con gli altri, reali o fantasticati, possiamo esprimere la soggettività e questa nuova solitudine può rappresentare la nostra salvezza.
Roberto Salati