Bojack Horseman è una serie TV trasmessa da Netflix. Il protagonista è un uomo cavallo che vive la sua insoddisfazione esistenziale con nostalgia, inseguendo il desiderio di rivivere l’unico periodo della sua vita in cui ha sentito ardere il fuoco vitale. È successo una volta, erano gli anni in cui stava realizzando un progetto di successo che l’avrebbe fatto uscire dall’anonimato: quando fu attore protagonista di una serie TV molto apprezzata (almeno così gli piace raccontarcela). Poi il declino, il lento e inesorabile ritorno all’antico senso di vuoto che lo fa sentire invisibile. Nell’industria cinematografica Bojack non ottiene più scritture all’altezza di quel periodo di gloria. Ha sviluppato una strategia per lenire il dolore che sente negli spaventosi momenti che gli ricordano il nulla che realmente sente di essere: esprime cinismo e distacco dalle cose e dalle persone.
Quale sia il reale valore di Bojack non è veramente importante, piuttosto è una questione che gli autori lasciano sullo sfondo. Nel suo ambiente di lavoro ci sono produttori e registi che lo apprezzano e pretendono di scritturarlo (in questi casi non gongola, perché dà per scontato che lo vogliano usare per dare lustro ai loro progetti che ritiene strampalati), c’è chi non ricorda minimamente quale grande attore lui sia stato (dimenticanze che lo colpiscono come lame nei fianchi) e c’è anche chi lo ricorda, sì, ma non per quello che lui ritiene importante ma per particolari irrilevanti o che magari lui vorrebbe che il mondo dimenticasse (circostanze che procurano un dolore che non intacca la superficie indurita del suo ego, ma lo distruggono nel profondo).
Bojack resta in sospeso tra l’andare avanti e l’autocommiserazione. Gli si presentano alcune opportunità per rimettersi in gioco, ma le evita. Oppure le inizia ma non le finisce, fugge via e le lascia a metà. Inventa scuse, “se la racconta”, vive nella terra di mezzo tra la certezza del meno peggio e il timore del tracollo. La nostalgia del passato è qualcosa in cui rifugiarsi. Perché rischiare di scoprire che in realtà il ricordo della sua grandezza è solo frutto di distorsione mnemonica e autoindulgenza?
Eppure Bojack, per me, non è un personaggio negativo. È un cavallo a cui non è possibile non voler bene. È una “persona” profondamente ferita, fragile che si sforza di andare avanti al meglio. Il cavallo padre di Bojack è stato uno scrittore fallito. Ha passato tutta la sua vita credendo di saper scrivere e cercando di convincerne gli altri, a cominciare da sua moglie, ma alla fine è uscito di scena senza nemmeno una pubblicazione di successo. Quando non riusciva a concludere gli interminabili capitoli del suo romanzo non perdeva occasione per vomitare addosso al figlioletto Bojack le sue frustrazioni. La madre, invece… una donna dura, giudicante, un personaggio bidimensionale, che ha passato la vita capendo cosa il figlio avesse bisogno di ricevere da lei per evitare accuratamente di darglielo. Il figlio le mostrava quali acrobazie avesse imparato a fare? Lei gli rispondeva che era grasso e che non lo voleva tra i piedi. Nell’elogio funebre per la madre (la mia puntata preferita per l’intensità che esprime il protagonista) Bojack confessa che l’unica cosa che avrebbe voluto da lei era sentirsi dire “io ti vedo”, tutto qua. Che lei gli riconoscesse almeno di essere “un oggetto nel suo campo visivo”.
Bojack è un narcisista figlio di narcisisti. Il narcisismo del padre è tinto di fantasie megalomani che ambivano a creare qualcosa di eterno. Il narcisismo della madre è animale e banale come il male secondo Hannah Arendt, miseramente ancorato alla necessità di sopravvivere biologicamente a costo di annientare qualsiasi spunto di trascendenza. La triste verità è che il secondo soggetto, più conservativo, sopravvive al primo che si schianta come Icaro troppo vicino al Sole. Il narcisismo di Bojack è ereditato dal padre. Come per l’Amleto di Shakespeare, la sua guerra interiore si consuma per decidere se portare avanti il progetto di grandezza del padre, tenendolo congelato nel ricordo di quando era una star di una serie TV di successo, oppure dare pari dignità di espressione ad altre parti del suo Sé e fare i conti con la sua vulnerabile umanità.
Assume psicofarmaci, usa le persone per nutrirsene in modo compulsivo. Sì, decisamente una canaglia nel rapporto con gli altri. Però si pone in modo autentico, riconosce le proprie responsabilità e ne è consapevole. Sa ascoltare chi ha bisogno, perché vive a contatto con le proprie emozioni. Si protegge ma non si difende. Bojack ha dentro di sé uno schema che guida il suo modo di instaurare le relazioni, un modello che lo preserva e lo isola al tempo stesso: sa che non può dipendere da nessun altro che da sé stesso, in caso contrario andrebbe sicuramente incontro a delusioni troppo cocenti e traumatiche.
Bojack è simpatico. Molto simpatico. Fa ridere, ha uno spiccato senso dell’umorismo e la gente gli vuole bene. In fondo i party a casa sua sono sempre un successo perché riesce ad essere generosamente accogliente.
Bojack è uno che vuole ricominciare, vuole ripartire da qualcosa che dentro di lui si è interrotto qualche anno addietro. Spera disperatamente di avere ancora altre possibilità per essere un cavallo migliore e si fa il tifo per lui.